martedì 30 settembre 2008

GIOCARE A GOLF NELLO YORKSHIRE

Appena atterrato all’aeroporto di Leeds, sulla scaletta dell’aereo della compagnia low cost JET2 mi arrabbiavo con me stesso per non aver infilato all’ultimo momento nel bagaglio a mano come normalmente faccio, un maglione abbastanza pesante per resistere ai dodici gradi che c’erano. Siamo a luglio, per la cronaca. Fuori dall’aeroporto,ad attenderci nell’ampio parcheggio riservato alle soste brevi, trovai subito il maestro che ci avrebbe ospitato per l’intera durata della nostra vacanza. Avvolto da un maestoso capo scuro, alto, barba leggermente incolta, Peter Tupling si presentava decisamente bene nelle sue prime battute scambiate con noi. Aveva il viso solcato da diverse rughe che forse anticipavano quello che di li a poco avrebbe cominciato a raccontarci: la sua storia, una sorta di autobiografia improvvisata sul momento - alla guida della sua BMW familiare- piena di fascino e di legenda. Si trovava a descrivere la sua vita trascorsa per molti anni in giro per il mondo, tra campi da golf, ristoranti, amici, belle donne, denaro e inconsciamente si godeva per quegli anni apparentemente lontani che gli avevano concesso una buona pensione e un meritato benessere.
Ci spiegò poi a lungo il piano che aveva preparato, già con largo anticipo, e che ci consentiva di giocare tutti i giorni nei campi più belli dell’interland inglese quando notai la miriade di percorsi disegnati lungo la strada principale che collega l’aeroporto con la abitazione di Peter, situata in un sobborgo della città inglese: ben nove campi da golf “dominavano”quel territorio eroso dal vento in non più di una ventina di chilometri.
Inutile raccontare le numerose sfide che disputammo in quella settimana. Così le squadre: io con Peter (verrà poi premiata la mia lungimiranza) e gli altri due ospiti italiani di Padova insieme.
Sede del primo giorno di competizione, oserei dire “familiare”, fu il. Pannal Golf Club, uno splendido percorso alle porte di York Un continuo saliscendi rendeva il campo estremamente complicato anche per i giocatori più forti ed esperti e un discreto numero di buche cieche ti illudevano di aver raggiunto il green per farti ritrovare la palla in un rought tenuto alto apposta almeno un metro per punire i colpi non perfetti. In tasca portavo sempre un’altra palla, magari di poco valore, che la utilizzavo spesso come provvisoria! Ah, prima che mi scordi, gli inglesi non conoscono i muligans……
Di ben altro spessore ed eleganza l’Ilkley Golf Club situato a Myddleton, un paese in prossimità di Bradford, un campo pianeggiante e abbastanza semplice dove l’unica vera difficoltà stava nel portare a termine con un buono score la buca sedici, un par 4 di 426 yards tutto in discesa, con un tee da partenza ben rialzato da cui potevi scorgere la bellezza da un paesaggio collinare interrotto costantemente da tortuosi fiumiciattoli che animavano quello scenario che si presentava allo spettatore come uno splendido dipinto. Out a destra che costeggia tutta la buca e un grande bosco sul lato sinistro della buca non lasciavano al giocatore che una sola alternativa e speranza: il fairway, peraltro ondulato. Con un buon ferro otto di secondo si arrivava nella parte destra del green quindi due comodi putts per un ottimo par, uno score ideale a quella buca. Attenzione a non andare lunghi con il secondo: un piccolo ostacolo d’acqua appena oltre il green rendeva ancora più insidiosa la buca.
Il giorno successivo rimaniamo nelle vicinanze di casa e decidiamo di fare qualche buca nel campo dove Peter insegna, vicino a Leeds, un percorso corto ma delicato dove a premiare è la precisione e non la lunghezza come purtroppo è normalmente nei nuovi percorsi in progetto in Italia.
Infine per concludere la nostra avventura inglese, la mia prima esperienza in un vero links, il Ganton Golf Club, sede di un immaginario Open Chanpionship se e quando gli organizzatori del torneo più prestigioso al mondo avranno il coraggio di sfidare la storia e la tradizione ospitando l Open in un percorso non nelle vicinanze del mare. Lo ammetto provavo una certa emozione sul tee della buca uno a swingare con il drive in un campo così ricco di fascino. E’ il campo dove hanno vinto e stravinto i grandi campioni, è il campo dove non puoi accedere alla Club House se non indossi la giacca e la cravatta ed è il campo che si lascia scoprire buca dopo buca, che rivela la sua identità solo alla fine, sul green della diciotto, insomma è il confine tra realtà e immaginazione.
L’ ultimo percorso che abbiamo giocato in questa vacanza interamente dedicata al golf è stato l’Alwoodley Golf Club, un field storico dello Yorkshire, a pochi minuti da Leeds, disegnato dal grande architetto Alister McKanzie nel 1907, progettista di numerosi altri campi come, per citare il più importante a conosciuto, l’Augusta National.
Il percorso, un links abbastanza lungo dove il maggior pericolo viene spesso volentieri dal vento presenta diverse buche difficili e delicate. La prerogativa per concludere il proprio giro con un buono score è saper controllare la palla con colpi bassi (i cosiddetti “punch shot”).
Io e Peter partimmo alla grande con una sequenza impressionante di berdie ma poi dovettimo arrenderci alla rimonta degli avversari complice una buca davvero impressionante. Siamo alla otto, un par cinque dog leg molto lungo di 584 yards con bosco a destra e a sinistra. Entrambi finimmo a sinistra con il primo colpo, quindi an approccio a rimettere la palla in fairwai e pronti a giocare il terzo colpo al green ben circondato da bunkers molto profondi. E’ il mio turno: tiro alzo gli occhi e vedo mla palla atterrare nella parte destra del green, rotolare leggermente verso destra. Ero soddisfatto. Stavo rimettendo il bastone in sacca quando noto qualche cosa che si stava muovendo leggermente sul green. Era la mia palla, la mia povera palla che stava prendendo velocità e seguendo l’andamento del green. Non potevo crederci, la mia palla era rotolata fino a prendere l’abbrivio della sponda del bunker e a finirci dentro! Non sapevo veramente cosa fare, non sapevo se ridere o disperarmi per la sfortuna che avevo avuto. Raggiunto il bunker scesi aiutandomi con i gradini che qualche saggio aveva diligentemente posto per facilitare il giocatore a scendere a causa della profondità del bunker stesso, oltre un metrom di dislivello!! Niente da fare primo tentativo andato male, la palle sbattè sulla sponda e tornò dentro. Ci riprovai ma andò addirittura peggio. “Basta” gridai. Raccolsi la palla, salii quei famosi gradini e mi avviai al tee della buca successiva. Avevo preso coscienza di come fosse difficile giocare in un links.

Consiglio ai naviganti: qualora vi trovaste per caso o vi steste preparando per una vacanza golfistica nel regno unito, che sia inverno o estate, che le previsioni meteo promettano bel tempo o no, portatevi un antivento, un ombrello e almeno un paio di guanti di ricambio. E’ normale infatti che anche in una bella giornata di sole, magari con una leggera brezza che rilassa, che ti consola quando sbagli un colpo perché in definitiva il golf è stare all’aria aperta in un luogo senza tempo, capiti che il cielo lo si annuvoli in breve tempo e che da quelle nuvole venga giu un bello scroscio d’acqua.! Allora non bisogna farsi trovare impreparati, aprire l ombrello (meglio avere un bravo caddie in queste condizioni) e giocare colpo dopo colpo come sempre. Portare a casa un buono score in queste condizioni sarà sicuramente più soddisfacente e consolatorio.
Filippo Maggi

venerdì 22 agosto 2008

THE OPEN

One-forty-four to the hole, Colin queste le parole del caddie di Monty sul secondo colpo alla prima buca del Royal Birkdale, uno dei più famosi links d Inghilterra sede, quest’anno, del 139° British Open. E’ da qui, da questi pochi metri che mi separano dal campione scozzese per sette volte consecutive numero uno in Europa che comincia la mia affascinante avventura, sia pur breve, nella fredda e ventosa Inghilterra.
E’ il terzo giorno di gara, è mattina presto e sono reduce da due ore e mezza di macchina, il tempo necessario per raggiungere il circolo da quella ridente cittadina che è Leeds, dove sono ospitato, insieme ad altri due ragazzi di Padova, da un maestro di golf inglese con un glorioso passato nell’ European Tour.
Comincio a seguire Montgomerie e subito mi rendo conto di essere completamente in un altro mondo, in un mondo di grandi, in mezzo a gente che ha fatto e sta facendo la storia del golf. Un boato improvviso mi costringe a girarmi e vengo catapultato sul green della buca nove dove incontro Ernie Els che ha appena imbucato il putt per il par da una distanza considerevole. Lo seguo. Mi stupisce la sua impressionante facilità di swing con quel ritmo cosi perfetto, e la sua eleganza nel riporre il bastone nella sacca. Penso che anche da questi piccoli gesti si capisca la classe di un uomo, prima che di un giocatore.
Il campo con questo vento così forte, cosi fastidioso è veramente difficile e ogni piccola imprecisione è sempre pagata almeno con il bogey. E’ un open un pò particolare, è l open del grande assente Tiger Woods, rimasto nella sua splendida residenza in Florida per un brutto infortunio al ginocchio; è l open dei legni tre tirati come secondi a par quattro dove normalmente si gioca ferro sei ed è l open dove in testa alla classifica c’è il grande, intramontabile, squalo bianco, l’australiano greg norman protagonista di tre giri davvero memorabili. Peccato per l’ultimo giorno, ma di fronte a quelle seconde nove di Harrington nessuno poteva cambiare il corso e il destino di questo open. Bravo Harrington allora che ha lottato per conquistare il suo secondo Open consecutivo.
A fine giornata, nel percorso che separa l uscita del golf con il parcheggio dove avevamo posteggiato la macchina, ero soddisfatto per la giornata trascorsa, volevo mettere subito in pratica quello che mi sembrava ave r imparato da quei fenomeni e sentivo ancora in corpo quelle emozioni che solo l Open ti fa vivere, anche solo quando sei un semplice spettatore pagante.

giovedì 31 luglio 2008

SWING CON PETER TUPLING

Nel video una lezione di golf da parte di Peter Tupling

lunedì 28 luglio 2008

CHI SONO


Mi chiamo Filippo Maggi, ho 18 anni e abito a Ferrara. Sono alto 1.89, mi piace viaggiare, divertirmi, sognare.